Lavorare col Mirco mi disarma sempre.
Un po’ sornione mi parla distrattamente di un servizio da scattare,
mentre mi prepara il caffè.
“..mah il lavoro è il solito, niente di complicato, mi
piacerebbero delle foto un po’ normali, come se fossero state fatte da mio
fratello..”. Io annuisco, faccio spallucce, ma in auto, fermo in coda, la frase
mi rimbalza dentro. Con gli anni ho imparato a guardare cosa intende, ma lì
per lì la situazione un po’ mi faceva stare a disagio, mi chiedevo di suo fratello e che cosa dovessi poi fare di tutta la mia attrezzatura stipata in
auto.
Ho iniziato a lavorare con lui ai tempi della Pentax 6x7, il
tempo sincro flash a 1/30 non l’ha mai turbato. Poi i primi lavori in digitale
a Londra di notte fermando per strada musicisti, cantanti senza gruppo, i tiratardi
di Camden; cercavamo la gente giusta, trovata dovevo farla entrare nelle stanze
di carta del catalogo, senza abbellirla,
senza metterla in posa.
Lavorare senza rete di sicurezza, accettare che il lavoro non esca.
“Non voglio modelle con la bocca a culo di gallina” mi
ripeteva, anzi a dire il vero penso
intendesse dire “non voglio le modelle”. Allora cercavo la semplicità sia fuori
che dentro di me: quando fai così diventa duro. Niente narcismo con la luce, niente “yes,
yes, …one more, one more…”, l’ansimare
del fotografo davanti alla modella. Immagini pulite e oneste: cercare la verità
o almeno essere credibili, ecco questo intendeva
quando mi parlava di suo fratello.
Ora ci siamo ritrovati con Rude Riders a lavorare assieme. Niente
set in studio, solo location. Anche dismesse , vecchie officine lasciate andare
o vecchi luoghi da riadattare, una ricerca di persone e cose che ci possono
aiutare… tutte un po’ ammaccate, ma vere. E poi gli amici, Mattia, Sandro e i
Wardogs, Ciccio, la Teodora e il Nadalini che arriva sempre con la sua Harley
anche a novembre, anche per per bere solo una birra. Mirco e
Gian Andrea sono motociclisti: le moto vengono per prime il resto deve starci sopra, e
starci bene…