giovedì 4 ottobre 2018

Walking Around, una poesia.






Succede ch’io mi stanchi di essere uomo
Succede che entri nelle sartorie, nei cinema
pallido, impenetrabile come un cigno di feltro
mentre navigo in un’acqua di cenere ancestrale.
L’odore dei parrucchieri ma fa piangere a dirotto.
Solo vorrei un riposo di pietre o di lana,
Solo vorrei non vedere stabilimenti o giardini,
prodotti, occhiali, ascensori.
Succede ch’io mi stanchi dei miei piedi e delle unghie
dei capelli, della mia ombra.
Succede che mi stanchi di essere uomo.
Sarebbe senz’altro delizioso
spaventare un notaio con un giglio reciso
o dar morte a una monaca con un colpo d’orecchio.
Sarebbe bello
vagare per le strade con un coltello verde
e gridare, fino a morire di freddo.
Non vorrei continuare a essere radice nelle tenebre,
così instabile, tremando di sonno; proteso
verso il basso, nelle viscere umide della terra,
assorbendo e pensando, mangiando ogni giorno.
Non vorrei per me tante disgrazie.
Non vorrei continuare a essere radice e tomba,
sotterraneo desolato, scantinato di morti
intirizziti, non vorrei morire di pena.
Per questo il signor lunedì brucia come petrolio
quando mi vede arrivare con il volto da carcerato,
e ulula per strada come una ruota ferita
avanzando con passi di sangue caldo verso la notte.
E mi chiude in certi angoli, di case umide,
in ospedali di ossa ributtate dalle finestre
calzolerie dalla puzza d’aceto,
strade spaventose come crepe.
Ci sono uccelli color di zolfo e orribili intestini
appesi alle porte delle case che odio,
dentiere dimenticate in una caffettiera,
specchi
che avrebbero dovuto piangere di vergogna e spavento,
ci sono ombrelli ovunque, e veleni, e ombelichi.
E io passeggio con calma, con occhi, con scarpe,
con furia, con smemoratezza,
passo, attraverso uffici, negozi di ortopedia,
e cortili, là dove il bucato giace appeso a un filo:
mutande e asciugamani, camicie che piangono
lente lacrime sporche.

Pablo Neruda