sabato 24 agosto 2019

culandia

















Sono nato  in un piccolo posto di provincia, oggi chiamato Culandia.  Ho vissuto lì la mia infanzia, appena ho potuto  l’ho lasciato. Ma lui è venuto con me, come un piccolo alone sulla camicia o una macchia d’olio sulle tasche posteriori dei jeans . Gli altri  la vedevano, io no.
Nascere in un posto lontano da tutto,  ti dà una piccola distanza che all’inizio ti protegge… un po’ come quando vedi la fiamma prima dello sparo, hai il tempo di guardare ancora, anche solo per un attimo. Poi nella vita questa distanza diventa la tua rincorsa, il tuo fiato corto.
Ma prima no, prima il teatro era qui e recitavamo tutti nella stessa scena. Prima ascoltavamo  Death or glory dei  Clash, si finiva con il motorino di qualcuno all’Arsenico a cercare di comperare  un chiodo che non fosse duro come il cartone. Non c’erano i ricchi e i poveri, c’erano quelli che vivevano in città e quelli no, quelli che stavano al capolinea,  in fondo nell’ultimo paese e quelli che la corriera non la prendevano mai.
Prima si andava  al Vinile , le band si alternavano,  gente sconosciuta, capelloni , che per non sbagliare stavano a petto nudo e pantaloni di pelle, urlavano in microfoni non collegati, ragazze con la gomma da masticare in bocca, la malboro sporca di rossetto e occhiali neri da sole che ballavano sudate  con  tutte quelle croci e quei rosari  al collo.  Si finiva sempre al parcheggio del Vinile  a fumare  e  poi  a chiudere, ballando in pista,  la serata con un bel  mal di testa. Lì una tipa ubriaca, con una t shirt con scritto “kills your idols”, mi urlava qualcosa..si muoveva dimenandosi e saltando con due scaldamuscoli à pois:  io sorridevo, annuivo, a quell’ora non capivo niente, avevo una camicia damascata presa al San Francisco di Vicenza appiccicata a un  guardaroba anni 50 che avevo trovato a casa di mio nonno.  Avrei  indossato pure il tappeto con l’immagine John Kennedy che avevo in camera: non seguivamo nessun stilista, volevamo esibirci, uscire  fuori,  nessuna paura del ridicolo. Ho un ricordo indistinto di quelle notti, erano buie e sature come tutte le foto in pellicola degli anni 80.
Qualcuno era stato in Inghilterra ed era tornato con qualcosa; qualche dr. Martens, calze nere  a rete, una sciarpa,  qualche jeans nero strappato, polsini con dei teschi. Nessuna idea chiara: tutto era un  insieme  di camicie texane, camicie rosa fuori dai pantaloni, i Diesel presi fallati al Surplus, qualche maglietta di Superman,  le bretelle del padre. Al Vinile le ragazze non mi piacevano, la musica non mi piaceva: ma  era un porto aperto sulla noia di quegli anni e di quei posti. Tutti arrivavano lì a un certo punto della notte, tutti tiravano fuori una rabbia nervosa, sorda. Dovevamo scaricarci  prima di tornare alle nostre famiglie, al prando domenicale, in silenzio davanti al telegiornale.
Prima di Google, c’era  solo l’edicola.  Aveva tutto, casuale e centellinato se vivevi  in un piccolo paese, era la mia finestra sul mondo. Prendevo  Rockstar, arrivavano sempre delle copie sparse, ma quel numero di  giugno me lo ricordo bene: era quello speciale, quello  con il poster  dei  Clash.  Lo lessi tutto, subito, seduto ancora nella mia 127. Non conoscevo  nulla della  loro storia. Così seppi che il padre di John Strummer era un diplomatico, il padre di Topper  Headon un preside che suonava il pianoforte con il figlio, e che neppure Mick Jone sputò mai sulle 100.000 sterline del contratto con la fottutissima  CBS Records.
Rimasi deluso, mi sentivo tradito, per me erano i miei fratelli, ogni fine settimana  uscivo con loro, con la loro musica, loro mi riaccompagnavano a casa all’alba. Dovevano essere come me,  io volevo essere  come loro. Ma non era così.  Loro erano belli e ricchi comunque,  io no.

Quel sabato sera non vidi nessuno, piegai  il poster, lo misi sopra l’armadio e me ne stetti  in camera a leggere qualcosa. Ero arrabbiato: avevo capito che per saltare in alto, quelli come me, avrebbero sempre dovuto  prendere la rincorsa.

'smalltown boy'
friends style Mirco Reffo
special thanks  Enrico dalle Carbonare











'supermarket flowers'
friends style Rini Giannaki , Giò Tamiello