In quel periodo
alle feste bevevo solo gintonic. La vodka
arrivò molto più tardi, quando di sigarette ne potevi fumare poche e per lo più
in terrazzi affollati.
Ma con il gin mi capitava di poter intravvedere una aura attorno al viso della ragazza che
avevo di fronte, aureole che il giorno seguente diventavano veri e propri
cerchi alla testa che si scioglievano solo nel bicchiere dell' alka seltzer.
Ho conosciuto Diana ad una festa in costume, durante il carnevale veneziano. La sua maschera era una farfalla che si era posata sul suo naso e che lasciava vedere solo due piccoli occhi curiosi che fissavano me con il salone affrescato appiccicato dietro. Mi attraeva, non tanto il suo accento neozelandese, ma la grande bolla di cristallo che le galleggiava accanto, una specie di sfera magica che mi parlava di lei, dei suoi corsi alle scuole serali, della sua casa che divideva con altri nell’East End di Londra, del suo lavoro come archittetto nello studio-fabbrica di William Alsop. Il mattino seguente mi svegliai tardi con il solito cerchio alla testa nel divano a casa di Pier.
Ho conosciuto Diana ad una festa in costume, durante il carnevale veneziano. La sua maschera era una farfalla che si era posata sul suo naso e che lasciava vedere solo due piccoli occhi curiosi che fissavano me con il salone affrescato appiccicato dietro. Mi attraeva, non tanto il suo accento neozelandese, ma la grande bolla di cristallo che le galleggiava accanto, una specie di sfera magica che mi parlava di lei, dei suoi corsi alle scuole serali, della sua casa che divideva con altri nell’East End di Londra, del suo lavoro come archittetto nello studio-fabbrica di William Alsop. Il mattino seguente mi svegliai tardi con il solito cerchio alla testa nel divano a casa di Pier.
Rividi Diana per caso,
dieci anni dopo, in un caffè a Parigi; viveva lì da tempo, aveva lasciato Londra
per lavorare nello studio francese di
Ron Arad, passava le serate con sua
figlia disegnando giardini. Pure io avevo cambiato un po' di cose, poi non
fumavo più, non bevevo più gin, non vedevo più sfere e bagliori di luce alle
feste. Il mattino
dopo, mi fermai da lei a bere un caffè, prima di andare alla Gare de Lyon. Il suo mondo mi apparve come me l’ero immaginato, la sua penna bic d’argento,
i cd dei red hot, i libri di Bailey, la mia cartolina appesa, sgualcita, sul frigorifero in cucina : si leggeva ancora “I can’t fly”.
Diana mi
preparò un panino, me lo avvolse con la carta stagnola: “voi italiani amate il
profumo del pomodoro”. Mentre andavo verso la porta, mi guardai indietro: tutto
era come appariva nella sfere luminose anni prima, bello ed impossibile.
La salutai e
le regalai la mia cintura, quella nera che portavo sempre, quella di Yohji Yamamoto.