mercoledì 2 agosto 2017

martedi non avevo l'assistente, così ho finito prima.

Ne aveva visti passare di ragazzi nel suo studio…
una volta bussavano quelli con gli occhiali in  osso, le pentax  del padre, i brufoli dei vent'anni  ed i jeans stirati con la piega.
Con gli anni sono arrivati i belli, quelli le canon 5d in modalità program, con le snickers  firmate, con l’iphone perennemente scarico e  con una fidanzata sempre diversa.
Si faceva tardi in studio ai tempi della pellicola, alla sera arrivavano i primi cliptest, la stancheszza sfumava nelle luci rosse della camera oscura, si tirava mattina a discutere del bianco e nero del primo Mapplerthoprpe sviluppato più crudo nel rodinal, oppure dei bambini della Cameron così leggeri e sfuocati già prima del nostro giro di birre.

Poi sono arrivati i ragazzi dei  mille impegni, dei "no, non lo conosco..", dei " ma io non ne capisco molto di tecnica..", dei "devo andare..."

Il fotografo aveva fatto l'assistente all'inizio del tutto. Era stata per lui una vera e propria iniziazione ad una visione  voyeristica, dove i piedi, le mani, i dettagli minimi, quasi fuori campo, si trovavano ad essere la chiave di lettura; curare questi significava rendere credibile l’intera scena. L’assistente, dello studio conosceva le luci e le ombre, teneva conto delle polaroid, del diaframma, impostava il foglio di sviluppo, regolava la potenza dei generatori proporzionando le luci pilota, controllava il sincroflash.

Con gli anni diventò difficile capirsi sul set, tutto il lavoro si era spostato sulla postproduzione. Anche solo il chiedere di passare semplicemente  un esposimetro era diventato complicato: ".. mi passi l’esposimetro? Quel coso lì con la cupolina bianca e i led accesi.. " ”...la luce la guardo dopo a monitor...”si sentiva rispondere ”..la macchia sul fondo? Si la vedo ma  la tolgo dopo con il timbro.. “ 
La costruzione del set sembrava  essere solo una sua fissazione, una pignoleria dei vecchi  tempi.

Così quando il cliente decise di scattare inaspettatamente già quella settimana, il fotografo si sentì liberato: avrebbe scattato il lavoro da solo.
Lavorare senza assistente è come un viaggio con solo il bagaglio a mano,  prima pensi che non ce la puoi fare, che ti serviranno  mille cose, che  tutto quello che dovrai usare non potrà mai entrare in una valigia così piccola. Poi ti ritrovi a spasso solo con le cose che ti servono, uno zaino, le mani libere, le gambe veloci.

Doveva  viaggiare leggero quel  martedi.
Aprì un cassettino, quello dei vecchi filtri cokin, piccoli fossili spiaggiati li da lavori fatti negli anni della pellicola. Voleva dare una piccola aurea al digitale, renderlo imperfetto, sporcarlo solo un po’con della gelatina colorata, senza computer, senza bacchetta magica, senza aspettare il dopo. Voleva farlo  subito, nel momento dello scatto, senza le indecisioni della post e salutare tutti con una birra in mano.