giovedì 18 aprile 2013

il giorno in cui la Cadillac si mise a piangere


“Non si gira a piedi per Nashville, qui o fai footing oppure giri in auto”.
Questo  mi ha subito detto Ray Tarantino il giorno del mio arrivo, mentre ero intento a capire la zona e curiosavo, tentato, verso verso l’enorme pickup mimetico del  vicino.  Mi sono reso conto subito che girare a piedi senza una tuta da ginnastica e  senza una bottiglietta di Evian, ma solo  con la macchina fotografica e il sorrisino del turista, è una cosa che  suscita curiosità, come pagare in contanti  un conto sopra i 20 dollari.
L’auto qui è ovunque.  Venne dopo il cavallo, il Mustang come lo chiamavano gli Indiani; come lui doveva  assomigliare al padrone,  averne il carattere e la riconoscibilità. Cosi abbiamo avuto le cadillac rosa, le chevrolet rivestite in legno, i vecchi  pick up color  pastello.
Questo mondo oggi è alla fine, si scioglie e arruginisce al sole, sostituito dalle auto con gli occhi a mandorla, che viaggiano in questa parte del paese ancora come un corpo estraneo, troppo piccine per le dimensioni degli americani, dei loro grandi  cani e delle loro abitudini ingombranti.  Se è vero, come dice Ray,  che in Europa conta la storia, da dove vieni, qui in America  è importante il tuo progetto, dove vuoi andare; il viaggio come forma simbolica  trova nell’auto la propria allegoria. Qualcuno tra gli  intellettuali, possiede  un auto piccina ed ecologica. Ma  sopravvive qui un ostinato amore per un’ auto a grande formato; gli Americani  guardano con dolore  il giorno in cui dovranno sistemare in giardino  la vecchia Cadillac, coprirla  con  un lenzuolo e parcheggiare in garage  una Daewoo bianca a forma di topo.
Amo questa loro ostinazione, amo le loro vecchie auto ferite.