“Non si gira a piedi per Nashville, qui o fai footing oppure giri in auto”.
Questo mi ha subito detto Ray Tarantino il giorno del mio arrivo, mentre ero intento a capire la zona e curiosavo, tentato, verso verso l’enorme pickup mimetico del vicino. Mi sono reso conto subito che girare a piedi senza una tuta da ginnastica e senza una bottiglietta di Evian, ma solo con la macchina fotografica e il sorrisino del turista, è una cosa che suscita curiosità, come pagare in contanti un conto sopra i 20 dollari.
L’auto qui è ovunque. Venne dopo il cavallo, il Mustang come lo chiamavano gli Indiani; come lui doveva assomigliare al padrone, averne il carattere e la riconoscibilità. Cosi abbiamo avuto le cadillac rosa, le chevrolet rivestite in legno, i vecchi pick up color pastello.
Questo mondo oggi è alla fine, si scioglie e arruginisce al sole, sostituito dalle auto con gli occhi a mandorla, che viaggiano in questa parte del paese ancora come un corpo estraneo, troppo piccine per le dimensioni degli americani, dei loro grandi cani e delle loro abitudini ingombranti. Se è vero, come dice Ray, che in Europa conta la storia, da dove vieni, qui in America è importante il tuo progetto, dove vuoi andare; il viaggio come forma simbolica trova nell’auto la propria allegoria. Qualcuno tra gli intellettuali, possiede un auto piccina ed ecologica. Ma sopravvive qui un ostinato amore per un’ auto a grande formato; gli Americani guardano con dolore il giorno in cui dovranno sistemare in giardino la vecchia Cadillac, coprirla con un lenzuolo e parcheggiare in garage una Daewoo bianca a forma di topo.
Amo questa loro ostinazione, amo le loro vecchie auto ferite.