martedì 25 febbraio 2020

L’arte della fuga





Non suonava più in pubblico da un po’.
Voler piacere è faticoso; questo pensiero lo aveva tormentato per anni. Quindi diradò i concerti, scelse con cura  dove,  poi con chi, infine smise.
Non voleva lasciare il pianoforte, anzi al contrario voleva fare solo musica, suonare senza le patetiche esibizioni che il concerto affida all’ego del solista. Si era stancato dei bis scontati, di stringere mani, di fingere di ricordare facce o nomi. Smise quando era ancor giovane, anticipando i ripensamenti della  maturità.
Voleva solo suonare il suo  Bach, inciderlo e riascoltarlo ancora. La grandezza di un artista non si valuta per i buoni sentimenti che suscita, si valuta per la capacità di svelare la vita, di liberarla  dalle catene della necessità e bisogna saperlo fare con un proprio stile. Sapeva che solo la ricerca del suono puro poteva eliminare ogni divisione all’interno della musica tra antica e moderna, poter suonare insieme Gibbons e Schönberg.
Così si ritirò nella sua vecchia casa a tre piani, quella vicino alla piazza, col giardino che dava sul lago. 
Al pomeriggio scendeva nel seminterrato, caricava l’orologio a muro e si metteva a suonare  l’arte della fuga. Bach era la sua scala verso l’infinito, il suo mare profondo dove nuotare ogni giorno, la sua foresta dove perdersi, la sua alta roccia da dove guardare il mondo.



“Non rimpiango gli anni dei concerti, il tempo passato nelle camere d’albergo, nell’attesa di   esibirmi davanti a gente che non amo. Nessun pubblico mi ha mai dato il minimo stimolo, solo quando suono da solo sento di poter conoscere chi sono. Non mi mancano quei ragazzini viziati e spinti da madri nevrotiche nelle grandi sale d’aspetto della commedia dell’arte. Non mi interessa la musica da recitare come una poesia non riuscita, non sono mai stato bravo a piangere. Mi interessa leggere il suono come una scrittura sacra. La vita è la mia vita, così ho cercato l’uscita prima della fine del film”
L’autunno indorava le rive del lago, l’estate al Nord finiva presto, ma  un certo tepore riemergeva  nelle ore pigre della giornata. Il bambino aveva richiamato il suo cane; si era stancato di tirare il pezzo di legno. Bagnati correvano sulla via del ritorno, rallentando dove finiva il molo. Li ascoltavano la musica che il vento portava, veniva dalla casa in fondo al viale delle betulle. Lo potevi vedere dalla strada mentre curvo suonava, avvolto dalla sciarpa di lana comprata a Lipsia nel piccolo museo davanti alla  Chiesa di St. Thomas
Per tutti arriva, inesorabile, la domanda se la vita che viviamo sia nostra veramente o non ci appartenga affatto. Accettiamo il passare del tempo secondo una causalità che la ragione impone; viviamo sotto il cielo stellato incatenati ad una morale, ma non è vero che essere buoni preveda una ricompensa.  
Così gli fu facile volersi bene, lasciare andare il mondo e cercarsi un buon Steinway per il suo Bach.


















crediti: servizio scattato per Lebole Gioielli, styling di Veronica Bergamini, make up &hair Veronica Ramses, graphics project Maurizio Ezechielli, grazie a Barbara Lebole per la collaborazione creativa.